In uno studio transnazionale sul campo, i ricercatori hanno riscontrato sintomi visibili e significativi causati dall’ozono tossico sulle foglie delle latifoglie, nonostante la concentrazione totale di ozono sia rimasta stabile o sia leggermente diminuita tra il 2005 e il 2018.
Questi sintomi fogliari visibili (abbreviati VFS dall’inglese Visible Foliar Symptoms) sono stati osservati principalmente sul lato superiore delle foglie sotto forma di sottili macchie di colore verde chiaro, rossastro o marrone scuro tra le venature delle foglie. Le foglie più vecchie sono state colpite più gravemente. "Le cellule di queste foglie sono state danneggiate. Non possiamo ancora dire quale sia l’impatto di questi danni sulla salute generale delle piante", commenta Marco Ferretti, il ricercatore principale. Lo studio su larga scala è stato coordinato dall’Istituto federale di ricerca per la foresta, la neve e il paesaggio WSL e condotto sotto gli auspici dell’ICP Forests, un programma UNECE (vedi inquadro sotto) in cui la Svizzera (e il WSL) svolgono un ruolo importante.
I ricercatori hanno riscontrato una VFS significativa in alcune zone di Francia, Germania, Svizzera, Lituania e Grecia. Sintomi minori sono stati riscontrati in Croazia, Spagna, Italia e parti dell’Europa centrale e orientale.
Tra le specie studiate, il faggio europeo (Fagus sylvatica) ha mostrato la più alta frequenza di sintomi. Nel complesso, è stata osservata una correlazione tra i sintomi e alcune caratteristiche delle foglie, come l’area fogliare specifica (rapporto tra l’area fogliare e la massa secca della foglia) e lo spessore della foglia. "Le piante sensibili possono servire come sistema di allarme precoce per gli effetti dell’ozono sulla vegetazione", afferma Ferretti. Altre specie sono apparentemente meno sensibili. Per esempio, grazie alle sue caratteristiche fogliari e alle condizioni di crescita, il corbezzolo (Arbutus unedo) non ha mostrato sintomi, o solo minimi, anche a livelli elevati di ozono.
Secondo Ferretti, proprio perché le piante reagiscono in modo così diverso all’ozono, è fondamentale studiare l’intera comunità vegetale e non solo alcune specie selezionate in un determinato luogo. Questo è l’unico modo per ottenere un quadro olistico dei potenziali effetti dell’ozono sull’intera foresta di latifoglie in una particolare regione. "La suscettibilità di una foresta di latifoglie all’ozono varia a seconda della composizione delle specie, anche a parità di concentrazione di ozono", spiega Ferretti.
Lo studio mostra anche che i sintomi fogliari non sono sempre direttamente proporzionali alla concentrazione di ozono. Ad esempio, sono state osservate incidenze maggiori di sintomi fogliari nelle regioni alpine e continentali con concentrazioni di ozono più basse, mentre si sono verificati meno sintomi nelle regioni mediterranee con concentrazioni elevate. Secondo gli autori, ciò suggerisce che la concentrazione di ozono da sola non determina la suscettibilità delle foreste di latifoglie all’ozono. Altri fattori come la vegetazione (ad esempio, la composizione delle specie), l’atmosfera e la disponibilità idrica del suolo influenzano la suscettibilità all’ozono.
Il team di ricerca ha raccolto e analizzato i dati tra aprile e settembre e dal 2005 al 2018 in 20 Paesi. Delle 149 specie vegetali studiate, 57 (38,3%) hanno mostrato sintomi fogliari visibili dovuti all’ozono. Questi sono stati osservati in 57 delle 91 località studiate (62,6%).
Gli autori dello studio raccomandano un monitoraggio continuo e a lungo termine per comprendere gli effetti dell’ozono sulla salute, la crescita e la biodiversità delle foreste di latifoglie.
La Commissione economica per l’Europa delle Nazioni Unite (UNECE) è stata istituita nel 1947. L’obiettivo principale dell’UNECE è promuovere l’integrazione economica paneuropea. Nel 1979, la Convenzione sull’aria, il primo accordo internazionale multilaterale per combattere l’inquinamento atmosferico, è stata firmata da 32 Paesi (ora 51 Parti). Nell’ambito della Convenzione sull’aria, il Programma cooperativo internazionale per la valutazione e il monitoraggio degli effetti dell’inquinamento atmosferico sulle foreste (ICP Forests) è stato lanciato nel 1985 in risposta alla diffusa preoccupazione pubblica e politica per gli estesi danni alle foreste osservati in Europa all’inizio degli anni Ottanta. Gli obiettivi dell’ICP Forests sono quelli di monitorare gli effetti dei fattori di stress antropogenici (in particolare l’inquinamento atmosferico) e naturali sulle condizioni e sullo sviluppo degli ecosistemi forestali in Europa e altrove. L’obiettivo è anche quello di contribuire a una migliore comprensione delle relazioni causa-effetto nel funzionamento degli ecosistemi forestali. Attualmente, 42 Paesi fanno parte dell’ICP Forests. Marco Ferretti è presidente dell’ICP Forests dal 2017.