Cosa rivela lo chalet sul nostro rapporto con la montagna

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Patrick Giromini è docente di architettura all’EPFL. Alain Herzog / 2022 EPatrick Giromini è docente di architettura all’EPFL. Alain Herzog / 2022 EPFL

La tendenza ad adottare lo chalet come habitat tradizionale di montagna merita di essere messa in discussione, afferma Patrick Giromini, docente dell’EPFL. In un libro ben documentato, la ricercatrice ci ricorda quanto il nostro rapporto con le montagne derivi da una costruzione sociale forgiata già nel XVIII secolo.

"La mia ricerca è partita da una domanda molto semplice: cosa possono insegnarci gli edifici rurali delle montagne del Vallese sull’uso del territorio alpino? L’architetto ha completato il suo dottorato parallelamente alla sua attività di docente presso l’EPFL nel laboratorio Arts for Science (LAPIS), diretto dal professor Nicola Braghieri. Per sei anni ha accompagnato i suoi studenti di architettura nelle Alpi vallesane per far loro disegnare edifici utilitari propri della cultura rurale. "L’indagine permette di comprendere la logica costruttiva di questi edifici. La mia ipotesi di lavoro è stata costruita negli anni, grazie al loro lavoro. L’architetto vallesano ha appena pubblicato un libro basato sul suo dottorato, svolto presso la Facoltà di Scienze Naturali, Architettoniche e dell’Ambiente Costruito (ENAC): Transformations silencieuses, Etude architecturale du bâti alpin (Metispresses). In un approccio open science, il libro è liberamente scaricabile dal sito web dell’editore.

Né salvare né monumentalizzare

Basato su un’ampia ricerca storica, fondiaria e giuridica e su casi di studio incentrati sulla Val d’Hérens, il libro di Patrick Giromini interroga indirettamente, ma in profondità, le attuali pratiche architettoniche e urbanistiche. In particolare, il ricercatore affronta la questione del patrimonio e raccomanda di concepire gli edifici rurali alpini come habitat ordinari che non devono essere né salvati dalla rovina né monumentalizzati a tutti i costi. "Un modo per rispettare e perseguire la logica di questi edifici è accettare la loro perdita come un modo sostenibile di pensare alla costruzione in montagna", sottolinea l’autore, consapevole che il suo approccio potrebbe sconvolgere le sensibilità esistenti.

L’applicazione di una morfologia urbana alla montagna, sia mentale che operativa e normativa, tradisce le ragioni specifiche di questo territorio.

Per lui, le trasformazioni attualmente praticate, ad esempio sui vecchi raccardi, non rendono loro giustizia: "L’applicazione alle montagne di una morfologia urbana, sia mentale che operativa e normativa, tradisce le ragioni specifiche di questo territorio. In qualità di architetto responsabile dei monumenti storici del Canton Vallese, affronta direttamente la questione dell’abbandono di questi edifici attraverso il quadro legale e giudiziario del patrimonio edilizio. Il suo obiettivo? Non per trasformare la montagna in un museo. "La domanda a cui devo rispondere è questa: abbiamo il diritto di fare una nuova finestra? È una questione che coinvolge la sostenibilità materiale, sociale, economica e politica, perché si tratta di un patrimonio complesso".

Costruire sul passato

È chiaro che attraverso il destino del patrimonio costruito in montagna, una domanda più fondamentale attraversa il lavoro di Patrick Giromini: come vivere in montagna oggi? Anche in questo caso, il ricercatore ritiene che il passato possa essere una fonte di ispirazione, in quanto le comunità montane non consumavano più delle risorse a loro disposizione e sfruttavano il territorio a loro misura. Questa constatazione lo porta a interrogarsi sulla situazione attuale: "È corretta un’economia sociale che spinge assolutamente allo sfruttamento turistico massiccio del territorio alpino?

Il ricercatore dedica parte del suo libro alla decostruzione di quelli che chiama "luoghi comuni alpini". Dall’ultimo quarto del XIX secolo, queste hanno portato la nostra società ad "appiattire la montagna" per introdurre una somiglianza morfologica con la città, pur mantenendo l’idea paradossale che la montagna sia il crogiolo di stili di vita preservati, perché autentici e immacolati.

Lo chalet è diventato gradualmente un’abitazione che formalizza una ricerca di esotismo e di evasione.

Dalla casetta al territorio

Il successo socio-economico dello chalet è esemplare in questo senso, secondo Patrick Giromini, che ne esamina la genealogia a partire dal XVIII secolo. "In Vallese, storicamente, lo chalet è un luogo, una tappa del remuage, cioè lo spostamento del bestiame dal villaggio agli alpeggi, e non un’abitazione temporanea o stabile", ricorda. "Lo chalet divenne gradualmente questa abitazione ’tipica’, montana ed extraterritoriale, che formalizzava una ricerca di esotismo e di evasione, un luogo alla periferia del mondo civilizzato che rispondeva a un bisogno di pittoresco". Nel libro, il ricercatore sottolinea anche che la logica riproducibile dello chalet, praticata dall’industria a partire dal XIX secolo, ha contribuito alla sua grande fortuna fino ai giorni nostri.

Invece di concentrarsi sul "vecchio chalet", di cui si canta da decenni, secondo Patrick Giromini bisogna ripensare l’intero utilizzo del territorio alpino. L’architetto sottolinea questa contraddizione anche sotto forma di scavo: "La monumentalizzazione dei villaggi alpini serve a loro finché consente economie urbane non strutturate ai margini delle città, soprattutto nelle zone industriali.

Riferimenti

Patrick Giromini, Trasformazioni silenziose, studio architettonico di edifici alpini, Metispresses, 4 novembre 2022. Versione digitale disponibile per il download.