Lo ’sharenting’ è legale? Le zone grigie del mostrare i figli online

- EN- IT
© RDNE Stock project
© RDNE Stock project
Mediamente l’immagine di un bambino viene pubblicata online, suo malgrado, 300 volte all’anno. Questa pratica viene definita "sharenting", un termine che nasce dall’unione dei termini inglesi "to share" (condividere) e "parenting" (genitorialità). Ma come si pone la legge nei confronti della pubblicazione di fotografie ritraenti minori? Suzanna Marazza, giurista e collaboratrice del CCdigitallaw, centro di competenza all’interno all’eLab dell’Università della Svizzera italiana (USI), ne ha parlato ai microfoni de "Il Quotidiano" (RSI)

Quella dello sharenting è una zona grigia in quanto, come spiegato da  Suzanna Marazza , trattandosi di diritti personali, nessuno può decidere al posto del soggetto interessato. "Si potrebbe generalmente dire che non è prettamente legale pubblicare foto dei propri figli o dei bambini senza il loro consenso, tuttavia molto dipende dalle circostanze. Inoltre, il consenso dei minori potrebbe essere valido qualora i bambini siano capaci di discernimento".

La tutela dei diritti dei minori è cambiata molto tra gli anni ’90 e i primi anni 2000, con la Convenzione dell’ONU sui diritti del fanciullo e l’introduzione della legge sul divorzio. I minori sono infatti passati dall’essere principalmente subordinati all’autorità parentale all’avere dei diritti propri.

Nell’ambito dello sharenting Suzanna Marazza invita a una riflessione ponderata e consapevole, che pone sempre al centro il benessere del minore, inteso sia come benessere psicologico, sia in senso evolutivo. "Qualsiasi rappresentante legale del bambino deve mettere come priorità il benessere del minore, pertanto è importante chiedersi quale sia il beneficio che il bambino trae dalla pubblicazione delle sue immagini online".

L’intervista completa a Suzanna Marazza per "Il Quotidiano" (RSI) è disponibile al seguente.