Antonio Landi, può spiegarci in cosa consiste la ricerca da lei condotta e a che risultati ha condotto?
"L’obiettivo dello studio pubblicato sulla rivista JAMA Cardiology era analizzare l’impatto del genere maschile o femminile sulla terapia farmacologica ottimale nei pazienti con malattia aterosclerotica coronarica sottoposti ad angioplastica con impianto di stent coronarico. In questi pazienti, le attuali linee guida raccomandano una duplice terapia antiaggregante (DAPT) per una durata complessiva di 6 o 12 mesi nei pazienti con sindrome coronarica cronica e acuta, rispettivamente, per ridurre il rischio di complicanze ischemiche durante il follow-up. Prolungare la durata della DAPT oltre i 6-12 mesi assicura, da un lato, una protezione maggiore da potenziali eventi avversi ischemici (ad esempio, infarto del miocardio) ma si associa, dall’altro lato, ad un rischio maggiore di sanguinamento. In particolare, l’impatto del genere sul rischio di sanguinamento rimane controverso in quanto alcuni studi hanno dimostrato che il sesso femminile conferisce un rischio di sanguinamento maggiore, mentre altri non hanno dimostrato differenze significative. Per rispondere a questi quesiti, abbiamo effettuato il nostro studio nell’ambito del trial clinico MASTER DAPT ponendoci due obiettivi principali: analizzare gli eventi clinici dopo angioplastica coronarica nei pazienti maschi e femmine ad alto rischio di sanguinamento e valutare gli effetti di una durata ridotta della DAPT rispetto alla terapia standard nei due sessi. I nostri risultati dimostrano, per la prima volta, che una DAPT abbreviata dovrebbe essere considerata come strategia di scelta nelle donne ad alto rischio di sanguinamento sottoposte ad angioplastica coronarica, in quanto possono trarne un beneficio in termini di sanguinamento (in modo comparabile rispetto agli uomini), ma soprattutto nessun potenziale incremento di eventi ischemici rispetto al trattamento farmacologico convenzionale".
Di quanta considerazione gode al giorno d’oggi la medicina di genere, concetto introdotto anche dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), alle nostre latitudini?
"A mio avviso negli ultimi anni il tema della medicina di genere ha acquisito un’importanza crescente. In ambito cardiologico penso che sia particolarmente rilevante, poiché ogni anno vi sono più di sette milioni e mezzo di donne che muoiono per malattie cardiovascolari, e ricerche come quella che abbiamo condotto noi possono essere importanti anche per sensibilizzare in merito al fatto che le terapie possono essere distinte in base al genere, diventando così più mirate. I dati emersi dai nostri studi dimostrano che, in base al genere, sussistono notevoli differenze non solo in termini di meccanismi fisiopatologici delle malattie, ma anche differenti risposte dei pazienti alla terapia farmacologica. Fino a qualche anno fa probabilmente quello della medicina di genere poteva ancora essere considerato un ambito di nicchia, ma al giorno d’oggi sta diventando sempre più rilevante. E si tratta di una tendenza piuttosto omogenea in tutto l’Occidente".