Una finestra sui fenomeni ambientali

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In inverno, la polvere e la sabbia del Sahara, soffiando verso ovest sull’
In inverno, la polvere e la sabbia del Sahara, soffiando verso ovest sull’Oceano Atlantico, saturano l’aria di Capo Verde e delle Isole Canarie. OSSERVATORIO TERRESTRE DELLA NASA
I dati ottenuti da satelliti, droni, radar o persino microscopi sono una preziosa miniera di informazioni per conoscere meglio il nostro ambiente. Talvolta abbinati all’intelligenza artificiale, offrono una migliore comprensione dei fenomeni su tutte le scale.

In un mondo in continua evoluzione, dove le minacce ambientali si moltiplicano, una migliore comprensione dei processi che si verificano naturalmente o sono indotti dal comportamento umano aiuta a sostenere le posizioni, a guidare gli sforzi di conservazione e ripristino e a orientare le nuove ricerche. Le immagini sono uno degli elementi chiave. I dati acquisiti da satelliti, radar, lidar e microscopi abbondano. Non resta che metterli insieme, a volte con l’aiuto dell’intelligenza artificiale, in modo pertinente. Dalla composizione elementare delle piante al rilevamento dei rifiuti negli oceani, dalla quantificazione e caratterizzazione delle precipitazioni alla mappatura dei coralli nel Mar Rosso, senza dimenticare l’analisi dello stato di salute di vaste aree coltivate, gli scienziati stanno sfruttando al meglio le opportunità offerte dalle nuove tecnologie per conoscere meglio gli ecosistemi su ogni scala.

Congelare le piante per osservare meglio

La rottura del legame tra il corallo e le alghe che lo colonizzano, lo stress delle piante causato dalla salinità del suolo o l’alterazione di conchiglie lunghe meno di un millimetro: questi e molti altri processi biologici vengono studiati a livello sub-cellulare dal Laboratorio di Geochimica Biologica (LGB) dell’EPFL. Utilizzando una serie di microscopi e altri strumenti microanalitici all’avanguardia, gli scienziati stanno svelando i segreti di questi scambi, in cui lievi variazioni molecolari o addirittura ioniche possono sconvolgere un intero organismo e avere un impatto su scala molto più ampia.

Tra i coralli e le migliaia di microalghe che ospitano, ad esempio, il rapporto sembrava essere fuso: i primi si nutrono dei vari nutrienti rilasciati dalle seconde, mentre le seconde assorbono la CO2 fornita dagli cnidari. Questo rapporto ancestrale, che conferisce ai coralli i loro colori scintillanti, è messo in pericolo dal riscaldamento globale. Le alghe, stressate dal calore, rilasciano molecole tossiche per il corallo, che finisce per liberarsi delle piante. Oltre allo sbiancamento del corallo, questo fenomeno può portare alla morte della cnidaria e quindi a una grave perdita per tutti gli ecosistemi a cui è legata. Armati di un microscopio ionico, i ricercatori del LGB lavorano da diversi anni sui segreti nascosti di questa relazione simbiotica. "Il microscopio NanoSIMS, che irrora gli oggetti di studio con ioni, ci permette di osservare gli scambi con una risoluzione molto elevata: fino all’osservazione di singole cellule e persino di strutture sub-cellulari", spiega Nils Rädecker, borsista post-dottorato. Gli scienziati hanno così potuto svelare meccanismi importanti come i dettagli del comportamento egoistico delle alghe, che smettono di fornire nutrienti al corallo molto prima di essere espulse.

"Il problema di questo microscopio è la perdita di alcuni composti solubili nei tessuti organici al passaggio degli ioni", osserva Anders Meibom, professore dell’LGB. Per superare questo problema, gli scienziati hanno pazientemente sviluppato il CryoNanoSIMS, in cui il campione viene congelato con l’azoto. "È l’unico microscopio in grado di ottenere immagini precise di dove, in una cellula o in un tessuto, un determinato nutriente viene immagazzinato o utilizzato, e dove un inquinante penetra o meno". Questo processo ha aperto una serie di nuove aree di ricerca. Il borsista Priya Ramakrishna, ad esempio, sta sviluppando una mappatura chimica ad alta risoluzione di una pianta modello per comprendere le risposte cellulari alla salinità del suolo. "Questo potrebbe avere un impatto sulla crescita delle piante e quindi sull’agricoltura", sottolinea la ricercatrice.

Immagini e intelligenza artificiale per far parlare il pianeta

Il nostro pianeta si estende per oltre 196 milioni di chilometri quadrati, compresi molti ecosistemi lontani dai sentieri battuti e di difficile accesso. Tuttavia, la rete formata dagli innumerevoli sensori posizionati su droni o satelliti, telecamere di sorveglianza o persino sui nostri telefoni cellulari, fornisce una ricchezza di informazioni anonime e utilizzabili. "I dati provenienti dai satelliti ad alta risoluzione che utilizziamo più frequentemente catturano immagini altamente dettagliate con una risoluzione fino a 10 metri e che coprono una larghezza di 290 chilometri. Poiché le immagini sono geolocalizzate, conosciamo in ogni momento le coordinate del luogo che stiamo analizzando", sottolinea Devis Tuia, professore del Laboratory of Computational Science for the Environment and Earth Observation (ECEO) dell’EPFL.

Studiare le popolazioni animali, quantificare la distribuzione e la maturità delle colture, evidenziare i rifiuti che galleggiano sulla superficie degli oceani, monitorare l’evoluzione dei ghiacciai... il potenziale di utilizzo di queste informazioni per osservare e monitorare l’ambiente è immenso. Ma ogni problema ha il suo tipo ideale di sensore e di risoluzione. "Organizziamo, cataloghiamo ed elaboriamo questi dati eterogenei e non strutturati utilizzando algoritmi tradizionali di estrazione delle informazioni o l’IA per estrarre informazioni utili e organizzate per diverse applicazioni", spiega il professore. Recentemente, ad esempio, gli scienziati hanno sviluppato un’intelligenza artificiale in grado di mappare rapidamente i coralli in 3D sulla base di filmati ripresi da telecamere commerciali. Questa tecnologia consente ai subacquei non specializzati di raccogliere facilmente dati su vaste aree della barriera corallina.

I dati satellitari sono ancora lontani dall’essere sfruttati al massimo delle loro potenzialità e i ricercatori devono spesso addestrare i programmi di riconoscimento da zero, con pochi dati disponibili per un’area specifica. "Finora non esisteva un programma in grado, ad esempio, di passare rapidamente dal riconoscimento di un detrito a quello di un albero o di un edificio", sottolinea Devis Tuia. Così, insieme ai suoi colleghi e agli scienziati dell’Università di Wageningen (NL), del MIT, di Yale e del Centro di ricerca di Jülich (D), ha sviluppato un sistema di apprendimento camaleontico, METEOR.METEOR è un sistema di apprendimento camaleontico in grado di passare da un tipo di oggetto a un altro sulla base di una manciata di immagini di buona qualità e di un algoritmo di "meta-apprendimento". Si tratta di un enorme risparmio di tempo nelle aree in cui l’acquisizione di dati sul campo è difficile o molto costosa.

Il profilatore di nuvole

Per gli scienziati del Laboratory for Environmental Remote Sensing (LTE) dell’EPFL, non esistono due gocce d’acqua uguali. Soprattutto quando sono ghiacciate. Nelle Alpi, in Antartide, nell’Artico, in Grecia... seguono le precipitazioni e scrutano le nuvole utilizzando radar, lidar o un dispositivo che fotografa i fiocchi di neve in 3D. "L’imaging è l’unico metodo che ci permette di catturare i fenomeni meteorologici in evoluzione nello spazio, nel tempo e su un’ampia gamma di scale", spiega Alexis Berne, professore dell’LTE. La quantificazione precisa e affidabile delle precipitazioni, in particolare quando sono solide, nelle regioni montane e polari rimane un’area poco conosciuta, ma ha importanti conseguenze per le risorse idriche, la previsione dei rischi naturali e la valutazione degli effetti del cambiamento climatico in queste regioni altamente sensibili.


Cristalli soprannumerari

La formazione di gocce d’acqua e cristalli di ghiaccio nelle nuvole, ad esempio, nasconde ancora molti segreti. Mentre il meccanismo di condensazione attorno ad alcuni aerosol (particelle solide o liquide sospese nell’atmosfera) che fungono da nuclei cosiddetti "glaciogenici" è ben noto, un secondo processo, il ghiaccio secondario, nasconde ancora parte del mistero. Quando i ricercatori puntano i loro radar sulle nuvole per quantificare la formazione di precipitazioni, le goccioline e i cristalli superano di gran lunga le particelle di aerosol. È un’equazione aritmetica.

Nell’ambito di un vasto progetto europeo che coinvolge altri laboratori dell’EPFL (Laboratory for Research into Extreme Environments e Laboratory for Atmospheric Processes and their Impacts), gli scienziati posizioneranno presto dei profilatori di nubi in varie località del mondo per seguire il comportamento delle nubi cumulonembi e delle loro cugine, e il modo in cui si forma il ghiaccio secondario. "La modellazione numerica ci aiuterà anche a comprendere le condizioni in cui sono state effettuate le nostre osservazioni".

Immagini grazie alle onde elettromagnetiche

"Non analizziamo le immagini allo stesso modo dell’imaging biomedico", spiega Alexis Berne. I radar generano decine di gigabyte di dati ogni giorno, che gli scienziati utilizzeranno per realizzare un caso di studio su un particolare fenomeno meteorologico o per compilare statistiche. "Le variabili che ci interessano sono generalmente ottenute in modo indiretto. Con il lidar o il radar, lavoriamo con le onde elettromagnetiche e misuriamo le proprietà elettromagnetiche delle particelle sospese nell’atmosfera in tempo reale. Il nostro lavoro si concentra su algoritmi di restituzione che ci permetteranno di estrarre informazioni sulle proprietà microfisiche delle particelle delle nuvole per comprendere meglio i meccanismi coinvolti e quantificare con maggiore precisione le precipitazioni."