Possiamo decodificare il linguaggio dei nostri cugini primati?

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Il team dell’UNIGE ha studiato se le regioni frontali e orbitofrontali del
Il team dell’UNIGE ha studiato se le regioni frontali e orbitofrontali del nostro cervello si attivano allo stesso modo di fronte a vocalizzi umani e scimmieschi. Leonardo Ceravolo

Un team dell’Università di Ginevra ha dimostrato che il cervello umano è in grado di identificare i vocalizzi di alcune scimmie, a condizione che siano imparentate con noi e che le frequenze utilizzate siano vicine alle nostre.

Siamo in grado di distinguere le vocalizzazioni di alcuni primati? Un team dell’Università di Ginevra ha chiesto a dei volontari di classificare le vocalizzazioni di tre specie di grandi scimmie (Hominidae) e degli esseri umani. Durante ogni esposizione a queste onomatopee, è stata misurata l’attività delle aree cerebrali coinvolte. Contrariamente a studi precedenti, gli scienziati rivelano che la vicinanza filogenetica - o parentela - non è l’unico fattore che influenza la nostra capacità di identificare questi suoni. Anche la vicinanza acustica - il tipo di frequenze emesse - è un fattore determinante. Questi risultati mostrano come il cervello umano si sia evoluto per elaborare in modo più efficiente i richiami di alcuni dei nostri cugini più vicini. Per saperne di più, consultare la rivista Cerebral Cortex Communications .

La nostra capacità di elaborare il linguaggio verbale non si basa solo sulla semantica, cioè sul significato e sulla combinazione delle unità linguistiche. Entrano in gioco altri parametri, come la prosodia, che comprende le pause, l’accentuazione e l’intonazione. Ne fanno parte anche le vocalizzazioni affettive, o affective burst in inglese - "Aaaah!" o "Oh!" per esempio - che condividiamo con i nostri cugini primati. Esse contribuiscono al significato e alla comprensione delle nostre comunicazioni vocali.

Quando viene emesso un messaggio vocale, questi suoni vengono elaborati dalle regioni frontali e orbitofrontali del nostro cervello. La funzione di queste due aree è, tra l’altro, quella di integrare le informazioni sensoriali e contestuali per prendere una decisione. Si attivano allo stesso modo quando siamo esposti ai vocalizzi emotivi dei nostri cugini stretti, scimpanzé, macachi e bonobo? E siamo in grado di distinguerli?

Esami di risonanza magnetica con le cuffie

Un team dell’Università di Ginevra ha cercato di scoprirlo esponendo un gruppo di venticinque volontari a una varietà di vocalizzi umani e scimmieschi. I partecipanti sono stati collocati in uno scanner per risonanza magnetica e dotati di cuffie. Dopo un breve periodo di familiarizzazione con i diversi tipi di vocalizzi, ogni partecipante ha dovuto categorizzarli, cioè identificare a quale specie appartenessero", spiega Leonardo Ceravolo, docente presso la Facoltà di Psicologia e Scienze dell’Educazione dell’Università di Ginevra e primo autore dello studio.

Queste onomatopee erano sia affiliative, cioè legate a un’interazione positiva, sia agonistiche, cioè legate a una minaccia o a un’angoscia. Le vocalizzazioni umane provengono da banche dati registrate da attori. I vocalizzi delle scimmie provengono da registrazioni effettuate sul campo nell’ambito di ricerche precedenti. Questo studio è il primo nel suo genere a includere vocalizzi di bonobo.

Bonobo, cugini non così vicini

I risultati hanno mostrato che per i vocalizzi dei macachi e degli scimpanzé le regioni frontali e orbitofrontali dei partecipanti si sono attivate in modo simile ai vocalizzi umani. I partecipanti erano in grado di distinguerli facilmente. Invece, di fronte alle "grida" dei bonobo, anch’essi cugini stretti dell’uomo, le aree cerebrali coinvolte si sono attivate molto meno e la categorizzazione è stata casuale.

Si pensava che la parentela tra le specie - la "distanza filogenetica" - fosse il parametro principale per la capacità, o meno, di riconoscere questi diversi vocalizzi. Più siamo vicini geneticamente, più questa capacità è importante", spiega Didier Grandjean, professore presso il Centro interfacoltà di scienze affettive e la Facoltà di psicologia e scienze dell’educazione dell’Università di Ginevra, che ha guidato lo studio. I nostri risultati mostrano che entra in gioco un secondo parametro: la distanza acustica. Quanto più la dinamica dei parametri acustici, come le frequenze utilizzate, è lontana da quella degli esseri umani, tanto meno si attivano alcune regioni frontali. Perdiamo quindi la capacità di riconoscere questi suoni, anche se sono emessi da un cugino stretto, in questo caso il bonobo.

I richiami dei bonobo sono molto stridenti e possono assomigliare a quelli di alcuni uccelli. Questa distanza acustica in termini di frequenze, rispetto ai vocalizzi umani, spiega la nostra incapacità di decodificarli, nonostante la nostra stretta vicinanza filogenetica. Siamo in grado di identificare i diversi aspetti emotivi delle vocalizzazioni affiliative o agonistiche emesse da uno scimpanzé, un macaco o un bonobo? E se sì, come? Questa domanda sarà al centro del nostro prossimo progetto di ricerca, che prevede l’analisi non della nostra capacità di classificare i vocalizzi per specie, ma di identificarne il contenuto emotivo", conclude Didier Grandjean.

19 dicembre 2023